Ladakh in moto 4: arrivo a Tso Kar Lake

Ladakh: prosegue il mio viaggio in sella alla Royal Enfield alla volta delle cime del Ladakh e giungo sulle sponde dell’incredibile Tso Kar Lake.

Per raggiungere il piccolo lago salato di Tso Kar prendiamo una deviazione dalla strada principale che si inoltra in una distesa che si fa sempre più verde. Non ci sono alberi, ma la presenza dell’erba è comunque insolita quassù. Il piano diventa però ben presto palude e alcuni di noi rischiano più volte di finire per terra. Marco si impianta e il fango sembra non voler rilasciare la sua Classic, quindi a braccia la riportiamo verso la pista più solida. Uno sforzo che in pochi minuti ci vede tutti provati, in particolare Marco scopre quanto sia difficile recuperare il fiato qui a 4.000 metri!

Raggiungiamo il lago Tso Kar all’imbrunire. Scopriamo che qui le piogge, a differenza di tutto il Ladakh, sono piuttosto frequenti e ci spieghiamo il motivo dell’erba e delle paludi insidiose. Sostiamo in quello che con malcelata ambizione i gestori hanno definito “resort”: una piccola costruzione con alcune stanze prive di servizi igienici, con porte che non si chiudono e con letti di legno. Per toglierci un po’ di terra di dosso ci arrangiamo con un secchio d’acqua riscaldata, ma a guardarci attorno e a pensarci bene ci sembra già un lusso avere un tetto sopra la testa.

Ripartiamo alla volta del più grande lago della regione, il Tsomo Riri. Lungo la strada abbiamo l’occasione di incontrare alcuni gruppi di pastori nomadi, famiglie che vivono con niente. Era l’occasione che aspettavamo per poter iniziare a donare alcuni capi di abbigliamento che abbiamo portato con noi. Queste famiglie sono estremamente povere e vivono di una pastorizia elementare: la loro casa è una tenda spesso frutto di vari scampoli cuciti e il loro lavoro sono le pecore, la cui lana è pregiata, e gli yak che forniscono latte nutriente, peli robusti e sterco come combustibile per superare i rigidi inverni. Nonostante la miseria, conducono esistenze serene e reagiscono agli invadenti ospiti che giungono vestiti in modo bizzarro in sella alle moto, con un genuino sorriso tra le rughe di una pelle resa cuoio dal gelo e dal sole.

Pochi chilometri più a sud scopriamo, nel mezzo del nulla, una costruzione recente e capiamo che si tratta di una scuola. Ci fermiamo e il direttore ci invita, con orgoglio, a visitare le aule. I bambini ci accolgono con timidezza e curiosità nei loro golfini bordeaux malconci. Si tratta di una scuola per i figli delle famiglie nomadi della zona che li possono lasciare qui per mesi interi. In questo istituto imparano l’inglese, la matematica e molto altro, hanno un alloggio e vengono nutriti. Regaliamo loro qualche indumento e in cambio ci offrono un bel tea caldo nel refettorio della scuola.

Raggiungiamo lo spettacolare Tsomo-Riri prima che faccia buio. La strada massicciata che lo costeggia ci permette di ammirarlo in tutta la sua indescrivibile bellezza. I monti che si stagliano di fronte a noi sono il Tibet! Questa è zona di confine, quindi presidiata militarmente e per passarci dobbiamo sottoporci a un altro controllo. Il villaggio di Korzog (4.540 m) è più vivace di quanto ci aspettassimo, al centro c’è un importante Gompa, un monastero buddista, e alle sue porte un campo tendato nel quale passiamo la notte.

Ci rifocilliamo con le consuete pietanze che ci stanno accompagnando sin dal primo giorno e, in tutta onestà, iniziamo già a non poterne più della cucina locale basata su riso basmati, patate col cumino e i piselli e salsa di lenticchie. La difficoltà maggiore è tollerare la scellerata quantità di spezie con cui condiscono ogni alimento, rendendo il sapore uniformemente… speziato. Per fortuna c’è sempre dell’acqua bollente per un buon tea a risollevarci il morale.

Foto di Marco Denicolò

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