Las carreras en carretera son el rugby de dos ruedas. Voy a explicar por qué amar tanto.
Fa un po’ working class hero, se vuoi, ma amo l’insana pazzia che sta alla base delle Road Races, operai della velocità, e il coraggio epico che fa tanto altri tempi proprio del gioco del Rugby, minatori del pallone. Apprezzo incondizionatamente il basso profilo che caratterizza chi pratica queste due discipline: la mancanza di divismo, i capelli spettinati, il sudore e l’espressione impacciata davanti alla telecamera di chi si mostra com’è e non come sarebbe un attorino ingellato al posto suo. C’è molto in comune tra questi due mondi apparentemente così lontani tra loro e – dato che non sono un tipo particolarmente perspicace – l’ho capito solo dopo un bel po’. El Road Races le seguo con enfasi da molto tempo – anche se l’amore vero e proprio è sbocciato nel 2010 quando ho assistito di persona alla North West 200 – il rugby è una passione molto più recente, ho perciò iniziato a chiedermi perché due mondi così diversi suscitassero in me entusiasmo e ho realizzato che rappresentano, en Fondo, la stessa filosofia di vita. Prima, pero, ti spiego di cosa sto parlando.
Cosa sono le Road Races?
La più famosa è senza dubbio il Tourist Trophy – per gli amici TT per i tecnici IOMTT ovvero Isle Of Man Tourist Trophy – che si corre da 117 anni a fine maggio sull’isola di Man, l’Isola con la I maiuscola per chiunque abbia le due ruote nelle vene. Seconda per notorietà ma non per velocità massima raggiunta è la North West 200, che si corre in Irlanda del Nord due settimane prima. Le Road Races sono una serie di appuntamenti iniziati nel 1907 con il primo Tourist Trophy, nei quali impavidi centauri lanciano la loro folle sfida alla velocità, ai propri limiti, su circuiti cittadini (momentaneamente chiusi al traffico). Esistono delle gare internazionali (altro appuntamento rinomato è Macau a ottobre) e un circuito di gare irlandesi, terra in cui la febbre delle Road Races è nata e cresciuta e dove ancora oggi trova terreno fertile nella pazzia di un popolo che adora questi idoli del motociclismo. Ad eccezione del TT, nel quale i piloti partono per a 30 secondi l’uno dall’altro, nelle altre gare partono assieme a batterie decise con normali qualifiche, esattamente come una normale gara di velocità. Solo che qui non ci sono via di fuga, ma siepi, muri di cinta, tombini, piloni, alberi, dirupi a picco sullo splendido mare irlandese.
Cos’è il Rugby?
Il Rugby a 15 (o Rugby Union) è uno sport di squadra nato nel Regno Unito alla fine del XIX secolo, noto ai più per due elementi: la palla è ovale e per avanzare occorre passarla indietro. Due sono i gesti tecnici che caratterizzano questo gioco: il placcaggio e la meta. Per chi non è avezzo, il Rugby sembra una zuffa indisciplinata e invece è estremamente ordinata e rispettosa delle regole e dell’avversario. Se dovessi riassumere il Rugby in un’espressione da profano, direi che è un gioco di trincea o meglio una battaglia tra 15 uomini (o donne) che cercano di superare una barriera fatta da altrettanti avversari compatti, al fine di conquistare la loro terra portando la palla oltre la linea di meta. Ciò che più appassiona del rugby – al di là delle regole astruse – è proprio questo spirito di battaglia e di squadra, quest’unione tra i partecipanti e l’umiltà del singolo che, senza i compagni, può nulla o poco. Il Rugby è il vero gioco di squadra, perché è la squadra che vince e l’individualismo sta a zero.
Perché amare il Rugby?
Appassionarsi al Rugby non è affatto difficile perché chi lo pratica lo fa con una tale partecipazione, umiltà e carica che è impossibile rimanerne indifferenti; è un gioco molto duro, nel quale il contatto, spesso violento, con l’avversario è costante. Proprio per questo regna – tranne rare eccezioni – il fair play. Chi gioca a Rugby scende in campo con un tale ardore e con una tale umiltà d’animo che è impossibile non appassionarsi allo sport più che ai colori dell’una o dell’altra squadra. Si tratta di un gioco che si basa sulla lealtà e su un costante lavoro sull’avversario, sul terreno in una lotta estenuante interrotta solo dal cronometro.
Perché amare le Road Races?
Se, anche per chi ne è a totale digiuno, è facile appassionarsi al Rugby, non lo è altrettanto innamorarsi o capire le Road Races. Questo perché ciò che salta subito all’occhio è il pericolo estremo. Tranquillo, non c’è nulla da capire, ma solo da sentire. Non che nel Rugby il rischio di farsi male sia escluso, de lo contrario, ma qui si rischia la vita senza mezze misure. I piloti che corrono le Road Races non sono piloti come gli altri – che già hanno la loro bella dose di pazzia – vanno oltre alla consapevolezza del rischio e non lo fanno per i soldi, i contratti degli sponsor e neppure per la fama. Lo fanno per loro stessi, per assecondare una natura che si portano dentro dalla nascita: per loro la vita è una sfida alla velocità, a quello stesso cronometro che sancisce la fine delle ostilità nel Rugby. I piloti di Road Races quasi sempre nella vita fanno altro, sono ben pochi i “top riders” che possono considerarsi dei professionisti. Come non amare, dunque anche in questo caso, lo spirito di sacrificio e, anche in questo caso, il cameratismo e il fair play che si viene a creare tra chi dedica la propria esistenza a questa passione? Impossibile non sgranare gli occhi nel vedere questi uomini che chiacchierano sulla pit lane allestita in centro paese e poi si lanciano a 200 miglia orarie sulle stradine di campagna irlandesi o tra i guard rail di Macau.