Per le vie di Berlino est

Berlino est non esiste più, di Berlino ce n’è una sola. Eppure Berlino est esiste ancora, è una città diversa. Ho parcheggiato la moto e fatto due passi.

Non ero mai stato a Berlino prima d’ora e in effetti è strano. In fondo per chi, come me, è nato negli Ottanta, Berlino fa parte della propria storia personale. Riesco ancora a ricordare i telegiornali, la gente che piangeva di gioia mentre distruggeva il muro, la Perestrojka, Gorbaciov, le magliette di due squadre di calcio, l’una blu con lo stemma della DDR e l’altra bianca con le righe tedesche. Eppure i giocatori avevano cognomi simili, visi simili. Riesco ancora a ricordare un evento epocale, benché fossi un ragazzino, come ricordo che chiedevo spiegazioni sul perché quella città fosse stata divisa.

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Mi guardo attorno, sono a Berlino e mi sento pure un po’ stupido ad esserci arrivato soltanto a trentacinque anni, ben ventisei anni dopo quelle lacrime di gioia. Cosa mi aspetto di vedere ancora di quell’epoca? Nulla, ma da un po’ di tempo amici e non, mi parlano di questa città, non fanno altro che decantarla come posto ideale per costruire la propria vita, lontano dalle barbarie e dall’idiozia che ha portato l’Italia ad essere, come ci hanno detto Bill Emmott e Annalisa Piras, a “Girlfriend in a coma“. Alcuni amici stanno progettando di trasferirsi lì ed altri lì ci vivono da qualche anno e hanno deciso di mettere radici. Accetto il loro invito e vado a vedere l’appartamento che hanno comprato (con le loro forze) nella zona est di Berlino. I costi delle case, qui, sono più bassi, Berlino est si sta ripopolando di giovani più o meno alternativi, molti pseudo-punk, molti altri semplicemente liberi di mostrarsi come vogliono. Berlino est è liberale. Molti restauri, alcune costruzioni nuove, diverse “case occupate”, ristoranti di ogni tipo, indiani, thailandesi, italiani ed enormi kebap che girano sullo spiedo (si dice che sei vuoi il migliore kebap devi venire proprio a Berlino, mica a Instambul).

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C’è ancora un po’ di est, non è del tutto scomparso, anche se i condomini della ex-DDR sono stati ridipinti di vari colori, sono diventati Hostels oppure sono dati in affitto con AirBnB, le forme ne tradiscono la provenienza filo sovietica. Passeggio, di moto non ce ne sono molte con questo tempo capriccioso, ma alcune ci sono e chi le guida non trascura nulla dell’abbigliamento tecnico. Abituato a vedere in Italia ragazzi andare su supersportive in calzoncini corti e canotta, ci faccio caso. Le moto sono di vario tipo, ma noto più turistiche e macina chilometri che supersportive. Badano più alla sostanza e sono generalmente ben tenute anche se non mancano neppure qui diversi casi di abbandono.

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Altra cosa che mi colpisce è la presenza di Schwalbe della Simson. Pensavo si fossero estinti e invece ce ne sono ancora un sacco. Non si può dire siano aggraziati ma hanno ancora il loro “fascino” pop. Gli Schwalbe (termine con cui in tedesco si identifica il “balestruccio” ovvero una specie di rondinotto) furono prodotti a partire dal 1964 dalla Simson, fabbrica che conobbe fortuna prima durante il Terzo Reich e poi proprio grazie ai propri moped nel periodo della Repubblica Democratica Tedesca. Lo Schwalbe sta a Berlino come la Vespa sta a Roma per intenderci. La produzione degli Schwalbe fu interrotta soltanto nel 1986 dopo 1.058.300 esemplari costruiti. Spinto da monocilindrico quattro tempi di 50cc raggiungeva i 60 km/h e pesava circa 80 kg, copriva 100 km con 2,5 litri di benzina. Ed io ho dovuto aspettare 35 anni per vederne uno dal vivo. Vecchie Mercedes ben tenute, qualche Trabant restaurata per i turisti (c’è chi le noleggia e ci fa il TrabSafari). E poi il muro, o meglio quel che ne resta. Faccio pure un salto al Charlie gate che segnava l’ingresso nella zona americana. I mezzi pubblici funzionano alla grande, anche se non sempre è chiaro quale prendere, come pure funzionano alla grande le reliquie di quel che fu la divisione, perlomeno in termini turistici. Rimango perplesso davanti ai due figuranti che fanno i pagliacci travestiti da soldati americani al Charlie gate. Guardo i miei amici e siamo tutti un po’ disgustati dalla loro mancanza di rispetto. Gli altri turisti, invece, si mettono in posa per il selfie. Meglio andare in cerca di una birreria e scacciare questa nausea con una buona birra.

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