In Kenya c’è Fika!

In Kenya due fratelli stanno lavorando a una moto elettrica low cost e a un sistema di interscambio delle batterie per rivoluzionare i trasporti del loro Paese.

Apprendo dal sito Cleantechnica che in Kenya c’è Fika. Ed è pure elettrica.

Al di là delle risatine che possiamo concederci qui in Italia per un nome così… evocativo, si tratta di un progetto di mobilità più ecologica in un ambiente difficile e per questo ho deciso di raccontare questa storia sul mio blog.

Il nome, poi, inconsapevolmente ci aiuta a conoscere quello che sta avvenendo in una realtà così diversa dalla nostra come il Kenya.

Fika, in lingua Swahili, non significa ciò che pensiamo noi ma “sto arrivando” e potrebbe essere proprio così, ovvero che la moto elettrica stia per entrare nel difficile tessuto dei trasporti africani.

La moto elettrica di Fika Mobility è ancora allo stato prototipale, ma come adesso vedremo, sembra centrare una questione molto importante. L’idea è venuta a Rishi Kohli (il tizio che sorride nella foto in alto) e a suo fratello Sanuji già da tempo impegnati in progetti di sviluppo ecosostenibile, soprattutto nella tecnologia led e sistemi di ricarica.

Hanno constatato quello che possiamo vedere tutti in un viaggio in un paese africano: le moto qui non sono semplici strumenti di divertimento, ma agili ed economici mezzi di trasporto e lavoro per arrivare ovunque.

600.000 Boda Boda

In Kenya i Boda Boda, ovvero i mototaxi, sono molto popolari come avviene in tutta l’Africa. Si stima ne circolino 600.000. Anche qui, come ho avuto modo di vedere di persona in Sierra Leone con il progetto In Moto Con L’Africa, le piccole motociclette consentono sia il trasporto commerciale in città come Nairobi o Mombasa, sia in centri più piccoli come Malindi, sia il trasporto di merci e persone nelle aree rurali più lontane e spesso difficili da raggiungere con un mezzo pesante.

A questo va aggiunto che l’aria nei centri urbanizzati africani è molto inquinata e che il 39% delle emissioni di CO2 in Kenya arriva dai trasporti.

Un’opportunità chiamata… moto

Qui la moto è una vera opportunità di lavoro e molti giovani senza occupazione sognano di averne una un giorno per poter così diventare dei mototaxi e lavorare di fatto nella logistica. Attorno a loro ovviamente non mancano banche, broker di prestiti, commercianti di benzina e venditori di ricambi, tutti pronti a guadagnare anch’essi dallo sviluppo di questa attività. Già perché oltre all’acquisto poi c’è la manutenzione.

Una Bajaj Boxer 150 qui costa 1.120 dollari. Si stima che la manutenzione e il carburante costino ad ogni taxi-rider circa 6 dollari al giorno.

Da qui la volontà dei fratelli Kohli: “la nostra missione è dare ai proprietari di Boda Boda e motociclisti una piattaforma più economica che, speriamo, un giorno possa facilitare la diffusione di veicoli elettrici in Kenya e in tutta l’Africa“.

La loro idea è quella di proporre una motocicletta semplice, facile ed economica con una batteria facilmente estraibile e di inserirla in un sistema più complesso, con stazioni di deposito e ricarica dove, in pratica, i motociclisti possono lasciare la batteria e prenderne un’altra carica. Non si tratta di una novità assoluta: Gogoro già lo fa a Taipei e Bodawerk sta lavorando a un progetto simile in Uganda. La stessa Kymco con lo iOnex si è mossa da tempo in questa direzione.

Interessante notare anche come in Kenya il concetto della stazione di scambio, la “swapping station“, non sia poi così nuova e anzi faccia già parte delle abitudini: viene utilizzata ad esempio per le taniche dell’acqua potabile o per le bombole del gas.

In questo modo sarebbero in grado di proporre ai motociclisti kenioti una moto ad un prezzo di poco superiore a quello della Bajaj – si parla di 1.200 dollari – ma consentirebbero loro di abbattere notevolmente i costi di esercizio offrendo anche soluzioni a canone mensile che comprende anche i costi di ricarica e di gestione della batteria. Così facendo si possono abbattere le barriere di ingresso e il costo di una moto non sarebbe più un ostacolo per chi ha risorse limitate. Oltre ai risvolti ambientali ci sono perciò importanti risvolti sociali.

Nella fattispecie il prototipo su cui stanno lavorando ha una batteria agli ioni di Litio da 2,5 kWh per un’autonomia stimabile attorno ai 100 km. Bisognerà capire come questo modello si può adattare alle più lunghe e complesse distanze nelle regioni rurali. Di certo il suo successo nei centri urbani spingerebbe a costruire swapping station anche lungo le strade e la gente ad avere più confidenza con la mobilità elettrica.

Rimane da vedere l’aspetto manutentivo a lungo termine ben consapevoli di come in Africa tutto si rompa e tutto si ripari con ciò che si trova.

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